Auguri Maria Luisa
Maurizio Nocera
Santa Cesarea Terme. Una sera di marzo 2009. Nella casa che affianca la fantastica dimora di “Nostra Signora dei Turchi” siamo in cinque. Non siamo seduti attorno ad un tavolo, ma in un salotto dalle poltrone bianche. I nostri nomi sono: Valentina Sansò (che nella vita fa la grafica); Mauro Marino (che nella vita fa il grafico, ma anche il giornalista e tante altre cose); Piero Rapanà (che nella vita fa l’attore), chi qui scrive (che nella vita insegna in un liceo pedagogico). Poi c’è lei, la Signora, cioè Maria Luisa Bene, sorella dell’impronunciabile, di CB.
Siamo curiosi di sapere com’è stata la sua vita, quella dei suoi genitori, da dove proveniva la sua famiglia. In realtà, attraverso le domande che poniamo alla Signora, vogliamo delle risposte che ci permettano di sapere qualcosa in più di suo fratello, dell’impronunciabile, di CB.
Maria Luisa, candida come una margherita bianca di primavera, ci dice che lei e CB sono nati a Campi Salentina, dove i loro genitori si erano trasferiti per motivi di lavoro. Le intenzioni dei genitori erano quelle di rimanere lì soltanto tre o quattro anni. Il dottor Reale, leccese, concessionario di tabacchi e proprietario del tabacchificio di Campi si era rivolto a Umberto Bene, nativo di Vitigliano, ma all’epoca residente a Lecce, con queste parole:
«Dottor Umberto solo lei può fare il miracolo. Quell’opificio – il più grande che ho – non va bene. Me lo deve rimettere a posto. Solo lei ci può riuscire».
La Signora continua a dirci che il suo papà e la sua mamma abitavano a Lecce, ma non ancora in via Degli Antoglietta, in un altro posto, per cui decisero di accettare questo nuovo lavoro a Campi. In un primo momento la mamma rimase a Lecce, mentre il papà faceva su e giù da Campi. Però il dottor Reale insistette:
«Don Umberto non è bene che donna Amelia rimanga a Lecce. Apre i cassetti, rivede le cose della bambina che ha perduto – si chiamava Maria Teresa – e tutto ciò diviene penoso per lei. La introduca nel mondo del lavoro».
A quel tempo [siamo negli anni ‘30] le donne non lavoravano, per cui mamma Bene accettò volentieri la proposta di portare avanti l’amministrazione dell’opificio. Fu così che Umberto Bene divenne il direttore tecnico mentre la mamma di Maria Luisa e dell’impronunciabile, di CB, quello amministrativo.
Ci dice ancora la Signora: «Io e Carmelo siamo nati lì. Solo successivamente ci siamo trasferiti a Lecce, quando io avevo già quattordici anni e mezzo e Carmelo sedici. Carmelo è stato più fortunato di me perché, oltre alle elementari, ha potuto fare a Campi anche le Medie e le Scuole Superiori presso gli Scolopi. Invece io, dopo la quinta elementare, piccolina piccolina com’ero, con le treccine dovevo prendere il treno e andare a scuola a Lecce. A Campi non c’erano le Scuole Medie femminili. Poi, tutti e due abbiamo fatto a Lecce il Liceo Classico. Carmelo lo ha iniziato a Campi, la seconda e terzo liceo l’ha frequentata invece a Lecce. Quando ci siamo trasferiti in città, in via Degli Antoglietta, io facevo la quarta ginnasio. Abbiamo frequentato in quella scuola che adesso è l’Ateneo [nei pressi di Porta Napoli], vicino dove andavo a giocare a tennis. Erano i primi anni ‘50».
La Signora ci informa che la casa di via Degli Antoglietta fu venduta ad un prezzo accessibile ad Umberto Bene dal dottor Reale. Ricorda che si trattò di un grandissimo affare dettato dalla gratitudine. Era una casa di quasi trecento metri quadrati, con il lastrico solare. Umberto Bene aveva risolto alla famiglia dei Reale i problemi dell’opificio di Campi. Si era in tempo di guerra e a Lecce nessuno poteva avere il grano per fare il pane, la semola, i legumi. Maria Luisa ci dice che a Campi tutto il paese adorava il padre, in particolare perché non aveva voluto aderire al Fascismo, e poi anche perché non aveva voluto prendere alcuna tessera, assecondando i primi scioperi operai. «Era lui che si metteva davanti ai cancelli, addirittura rischiando di farsi sparare! Questo Carmelo lo ha raccontato, papà era fortissimo, benché non fosse molto alto».
Ci dice ancora che una volta si presentarono a Campi due fascisti, lei, Maria Luisa, era attaccata al pantalone di padre, quando venne aperta la porta. «Lo minacciarono di prendere i bambini… le scale avevano un’unica rampa molto ripida. Papà fece semplicemente così… e rotolarono giù per le scale».
I contadini campiensi amavano Umberto Bene perché dava loro le sementi. In tempo di guerra, andava in Bosnia Erzegovina con un carro bestiame, e da lì riportava il tabacco e le sementi. Allora tutti i contadini di Campi coltivavano il tabacco.
La Signora racconta: «La mamma gli diceva: “Fammi una cortesia, non andare all’ufficio di collocamento. Prendi la bicicletta e fai un giro delle case. Vedi chi ha più figli, dove c’è più bisogno”. Allora i miei genitori arrivarono ad avere occupati fino a ottocento operai. E lì si lavorava il miglior tabacco delle Puglie».
Garbatamente chiediamo alla Signora a quanti anni CB lascia la casa di Lecce per andare a Roma.
«A diciassette anni. Appena finito il Liceo classico», è la risposta che ci viene data.
Lei, invece, finito il Liceo, fu mandata in “esilio” a Bologna. Esule perché aveva un ragazzo che Umberto Bene non voleva per la casa. «Così – ci dice la Signora - quando Carmelo debuttò nel ’59 al teatro delle arti, papà e mamma partirono da Lecce, io da Bologna e ci trovammo in albergo a Roma».
Fu in quella occasione che CB le disse: “Ora che ritorni a Bologna fai un corso di recitazione”.
«Ho già iniziato», rispose lei.
Gentilmente le chiediamo di dirci quale fu la prima opera di CB
«Fu il Caligola».
Camus era rimasto molto insoddisfatto dall’interpretazione di Gèrad Philipe, per cui CB e i suoi amici andarono a Parigi a chiedergli i diritti d’autore. Lì non c’era. Si trovava alla Fenice, a Venezia. Così CB lo cercò in albergo, dove andò assieme al regista Alberto Ruggero, che con lui faceva ancora l’Accademia. Camus chiese loro: «Chi dei due sarà Caligola?».
«Io, maestro» rispose Carmelo – aggiungendo – «Abbiamo un grosso problema, non abbiamo molto denaro per i suoi diritti».
«Vi cedo i diritti, in cambio di un posto in platea la sera della prima» fu la sua risposta.
Purtroppo non lo vide mai, perché morì prima.
Chiediamo ancora alla Signora in quali teatri C. B. debuttava.
«Carmelo ha debuttato non nelle cantine. I suoi debutti li ha fatti tutti nei grandi teatri. Dopo aver fatto il “Caligola” al Teatro delle Arti, lo fece poi come attore e come regista anche al Politeama di Genova. Poi ha fatto “Dottor Jekil e Mr. Hide” al Ridotto dell’Eliseo; “Ubu Roi” al Teatro dei Satiri; il “Faust” al Margherita. Poi ha fatto “Manon” al Flaiano, e al Teatro delle Muse “Il rosa e il nero” e “Il Monaco”».
Vorremmo ricordare alla Signora altri particolari dei debutti di CB delle sue sperimentazioni, di altro ancora. Ma subito la sua risposta sovrasta la domanda:
«Per la sperimentazione e la ricerca era un problema trovare gli spazi, per questo aprimmo il primo Teatro Laboratorio in Trastevere, a Piazza San Cosimato. Da lì passammo poi al Beat 72, quindi al Teatro “Carmelo Bene” in piazza Fontanella Borghese. Ma già in Piazza San Cosimato venivano Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Elsa Morante. Carlo Giulio Argan, il quale, nell’occasione del “Majakovskij” di Carmelo portò a teatro tutti i suoi studenti a sentirlo».
Gentilmente, chiediamo a Maria Luisa di sapere come va ora la sua vita.
«Questa notte, ma anche la notte scorsa e l’altra ancora, ho avuto una forte tachicardia. Così, mi sono detta “Maria Luisa quanto ti rimane da vivere?”. Questo mi sono detto, nello stesso momento in cui pensavo alla cosa più importante che ho ancora da fare: portare le ceneri di Papà e di Carmelo da Otranto a Santa Cesarea. Poi dopo posso anche morire. Ho vissuto tante di quelle vite che lo stress prima o poi era giusto che arrivasse. Quando qualcuno mi parla di depressione, a me quelle parole mi sembrano essere quasi uno schiaffo alla Provvidenza. Perché nessuna più di me avrebbe avuto diritto alla depressione. Io non ho avuto il tempo di deprimermi. Mai. Ho sempre corso come una figlia di quaglia. Ho fatto la vita in corsa. Per questo ora non vedo l’ora di fermarmi».
Chiediamo alla Signora perché mai lei non ha sfruttato l’occasione per fare teatro.
Ci risponde così: «Quando eravamo giovani io e Carmelo avevamo la voce identica. Ripeto: identica. Io ho fatto dizione a Bologna con Ernestina Zaggia, la moglie di Memo Benassi, sua compagna di scena. Lei mi voleva in radio, dove conduceva una trasmissione pomeridiana la domenica. Io invece tornai a Lecce per convincere i miei. Volevo raggiungere Carmelo a Roma. Però non dovevo convincerli con la parola bisognava inventare qualcosa. Questo qualcosa è possibile rintracciarlo in un passo del libro di Carmelo “Sono apparso alla Madonna”. Si tratta di un lapsus di mio fratello, ed è questo; quando sono nata io, Carmelo desiderava che mi gettassero giù dal terrazzo. Carmelo odiava le bambine, perché le trovava leziose. Poi però mi accettò, anzi ne fu felice, tanto che, quando mi regalarono la prima bambola – in tempo di guerra erano bambole fatte di stoffa, neanche quella tanto buona, riempite di paglia – la feci a pezzettini piccoli piccoli piccoli. La distrussi. Questo lo rese felice, perché disse: “Ecco, allora ce l’ho il compagno di giochi”. E furono pistole, insieme, il teatrino! Io sulla sediolina, fui il suo primo critico».
E qual era la vita a Lecce, in via Degli Antoglietta?
«Lì facevamo scherma. Fioretto – ci sentiamo rispondere – Quando Carmelo terminò il Liceo, prese lezioni dal Maestro Barbara, perché voleva diventare tenore. Però poiché avevamo cominciato tutti e due a fumare gli si ‘spezzo’ la voce. Pensate che la mia prima sigaretta - Carmelo già fumava - me la offrì papà che avevo sedici anni, durante la festa di matricola di Carmelo. Era una Serraglio! Lo ricordo perché era piatta. Ricordo pure che quando studiavamo, quando mamma si alzava per portarci il caffè alle cinque o le sei, nella stanza di Carmelo l’aria si tagliava con il coltello. Mamma diceva “Voi due questa notte…”.