sabato 28 agosto 2010

Nato Bene, morto male!


Mauro Marino


Racconta Maria Luisa Bene: «Io e Carmelo siamo nati a Campi. (Carmelo l'uno settembre del 1937). Solo successivamente ci siamo trasferiti a Lecce, quando io avevo già quattordici anni e mezzo e Carmelo sedici. Carmelo è stato più fortunato di me perché, oltre alle elementari, ha potuto fare a Campi anche le Medie e le Scuole Superiori presso gli Scolopi. Invece io, dopo la quinta elementare, piccolina piccolina com’ero, con le treccine dovevo prendere il treno e andare a scuola a Lecce. A Campi non c’erano le Scuole Medie femminili. Poi, tutti e due abbiamo fatto a Lecce il Liceo Classico. Carmelo lo ha iniziato a Campi, la seconda e terzo liceo l’ha frequentata invece a Lecce. Quando ci siamo trasferiti in città, in via Degli Antoglietta, io facevo la quarta ginnasio. Abbiamo frequentato in quella scuola che adesso è l’Ateneo [nei pressi di Porta Napoli], vicino dove andavo a giocare a tennis. Erano i primi anni ‘50».

Campi Salentina, con “Nato Bene” rende omaggio all'illustre concittadino Carmelo Bene con una “bella” festa di compleanno, un seminario notturno in apertura, nella notte del 1° settembre, in cima a Sant'Elia con un ascolto: “L’orecchio mancante e il teatro invisibile: la Salomè di Oscar Wilde secondo Carmelo Bene”. Giovedì 2, un'intensa giornata di incontri per la consegna del premio "Sud del sud dei santi" e del “Certificato di nascita – nuovi studi carmeliani”, riconoscimento che segnala e valorizza le opere e gli studi ispirati e dedicati del Grande Salentino.
“Artefici” dell'iniziativa due patron di alta competenza storica e critica: Piergiorgio Giacchè e Goffredo Fofi, sodali del Maestro nell'ultima ora, depositari del desiderio di Fondazione. Desiderio rimasto tale “suicidatosi” nell'ardire d'esserci! “L'immemoriale” si sarebbe chiamata! C’è da figurarselo come “luogo” dove il 'ricordare' necessita trasformarsi in 'atto' per non essere più solo ricordanza, nenia nostalgica del nulla... Tant'è... Ahinoi, tant'è... L'Immemoriale non è!
Martedì 24 agosto, a poche ore dalla conferenza stampa di presentazione dell'iniziativa campiota, il Nuovo Quotidiano di Puglia pubblica la notizia d'una piccata reazione di una tale Raffaella Baracchi da Torino, nota per essere stata eletta in quel di Salsomaggiore Miss Italia nel 1983, seconda moglie di CB e madre dell'erede Salomè Bene.
La signora Baracchi pretende d'aver diritto di diffida! Di poter essere contro la manifestazione: Carmelo Bene è “innominabile”, è cosa sua! Come suo è tutto ciò che all'Uomo in vita è appartenuto: opere, cose, cosine, case. Ciò che a lei non serve va buttato, mandato al macero, distrutto. Dimenticato! Sapete, è successo, si racconta di un deposito di merci e di scenografie andato perduto...
La signora ha dimora salentina a Otranto il portone di quello che fu “eremo” del Maestro porta su scritto Baracchi adesso, neanche l'ombra del nome Bene.
Carmelo Pompilio Realino Antonio Bene, non c'è più, forse non c'è mai stato! Ma adesso proprio non c'è più, non ci deve più essere e per ancora esserci deve chiedere il permesso alla sua moglie.
Tutti coloro che vogliono che CB - la sua sostanza di voce, di scrittura, di atti e di visione - sia ancora, devono chiedere a Lei il permesso e in più devono essere di Suo gradimento, coinvolgerLa, sentirLa... se no , niente! CB non s'ha da nominare!
Ma vi pare? Destino amaro dell'Arte, dell'artista che diventa, morto, ostaggio dei parenti.
Che tristezza Carmelo c'è da volgersi a Nostra Signora per chiederle la grazia ancora d'apparire! Figurandosi in Athena, magari armata di lancia a chieder vendetta!
E torna CB, torna: Non esisto: dunque sono. Altrove. Qui. / Dove? M’apparve il sogno, ad occhi aperti / Di Lei, che non fu mai”.
O Miss, mia cara Miss”, avrebbe più semplicemente parafrasato Totò... Vien da pensare ad una vendetta! Già, vien da pensare che è chi “non fu mai”che usa astio e rivalsa, che questo pare oltre l’interessi della tasca! Chi non fu mai! E neanche è! Cultura, memoria e dedizione son altro, son di chi ama e di chi ha amato! Nessuno ne è proprietario!

Nato Bene

Eventi/ Omaggio a Carmelo Bene dalla sua Città Natale


Buon compleanno!!!

Una lunga notte ed un intero giorno traversato da riflessioni che al Maestro sono dedicate, e suggestioni che dal Maestro sono ispirate, ma, soprattutto, un momento di immersione nella dimensione del “sud del sud dei santi” così come è stata indicata e inventata da Carmelo Bene: “sud del sud” come oltremare e oltrecielo ovvero quella visione che dal Sud procede verso un’ulteriore profondità e alterità, che incrementa e valorizza la funzione e la necessità della “minoranza come divenire”, come libertà di ricerca e generosità d’incontro con quelle situazioni e segni e valori che si situano – idealmente e metaforicamente – nel sud del mondo ovvero che sconfinano al di là del mondo del sud.

La festa di compleanno

I “festeggiamenti” prevedono una serie di iniziative che si svolgeranno in diversi luoghi della città di Campi Salentina. Nel giorno del compleanno di Carmelo Bene, la notte del 1 settembre alle ore 24.00, c/o l’Ex Convento Cappuccini di S. Elia (s. p. Campi-Squinzano), appena fuori dalla Città, avrà luogo l’ascolto notturno in forma di seminario a cura di Piergiorgio Giacchè dal titolo “L’orecchio mancante e il teatro invisibile: la Salomè di Oscar Wilde secondo Carmelo Bene”.

Giovedì 2 settembre, alle 11.00 nella Sala Consiliare del Comune di Campi sal. sarà consegnato il Premio "Sud del sud dei santi". Il riconoscimento, quest’anno relativo all'ambito dell’audio-visivo, andrà ex aequo a due registi stelle nascenti del cinema italiano, Michelangelo Frammartino e Pietro Marcello, che hanno contribuito con le loro opere e ricerche ad indicare ed esplorare la dimensione del “sud del sud dei santi” così come è stata inventata da Carmelo Bene: sud del sud come 'oltremare' e 'oltrecielo' ovvero come “altro dell’altro”. Goffredo Fofi si incaricherà delle motivazioni e sarà presente per la consegna dei Premi stessi.

Alle 18.00, nell'Ex Biblioteca Comunale l’inaugurazione della mostra fotografica “Florilegio per Carmelo Bene” di Andrea Valcalda e selezioni e visioni di altri “fiori” scelti dalle opere di Bene. La mostra resterà aperta dal 2 all’11 settembre dalle 18.00 alle 22.00.

Nella stessa occasione ad Andrea Valcalda, Francesca Rachele Oppedisano e Riccardo Panfili verrà consegnato il riconoscimento “Certificato di nascita – nuovi studi carmeliani”, un premio che segnala e valorizza le opere e gli studi ispirati e dedicati a Carmelo Bene, privilegiando le “prime volte” di giovani e non più giovani “studiosi”. La consegna degli attestati di “Nascita” sarà coordinata da Bruna Filippi.

Alle 20.00, sarà la volta di “Amado Mio, il profeta e la Patria” evocazioni e spiegazioni in parole e musica con l’intervento delle autorità locali e di BandAdriatica.

La proiezione dei due film premiati nella sezione “Sud del Sud dei Santi” avrà luogo presso il giardino della Casa Prato, nella serata di giovedì 2 settembre, alle ore 20.45. I film, presentati da Goffredo Fofi, saranno “Le quattro volte” di Michelangelo Frammartino e “La bocca del Lupo” di Pietro Marcello. Saranno entrambi proiettati al pubblico nella forma di cinema all'aperto.

Il Premio “Sud del Sud dei Santi”

Giunto alla sua terza edizione, il premio nasce da un’idea di Piergiorgio Giacchè ispirata a una frase, meglio un concetto anzi una “visione”, di Carmelo Bene, rielaborato in chiave antropologica.

Nel sud ci si sente già in un altrove, il sud è sempre stato nell’ottica nord-occidentale il luogo limite, il più basso ed escluso, il più sconosciuto e perfino pericoloso. Nel sud ci si sente sempre dunque emarginati e scontenti, si cerca quindi di giustificarsi e compararsi al nord. Si crede che gli Altri verso i quali ci si deve misurare sono al nord.

L’invito – solo apparentemente provocatorio di Carmelo Bene – è quello di sfruttarne la posizione per guardare ancora più a sud. Trovandosi in un finis terrae, si apre una visione dell’oltremare e dell’oltrecielo, qualcosa che sembra il vuoto, il nulla. Ma in quel nulla abitano i santi, cioè guardando verso quell’infinito si possono avere delle vere visioni. Ma anche delle vere condizioni e delle nuove scoperte. Estetiche ed estatiche. Ma infine anche penetrazioni che forse non servono a fondare una identità ma certamente fanno procedere verso un’alterità sempre più profonda e necessaria. In fondo (sempre che ci sia un fondo) il sud è una dimensione anche geografica vastissima e antropologica ricchissima, ed è anche – per il nostro punto di vista nordista (e tutti siamo nordisti) – una direzione tutta da indagare e da sfruttare”.

L’idea del premio è nata così. Ci sono persone che operano o pensano o creano qualcosa che ci aiuti a spostare lo sguardo sempre più a sud, che stimolano e aiutano noi meridionali a guardare verso il meridione del meridione, verso quel luogo e tempo più a sud che solo da qui si può guardare ma anche che serve a perdersi, a criticarsi, a cercare non di rafforzare la nostra identità ma ad arricchire la nostra alterità?

L'altro premio

Il riconoscimento “Certificati di nascita: nuovi studi carmelitani” - è la ripresa di un’idea venuta subito dopo la morte d Carmelo Bene ma che non è stata mai fin qui sistematicamente e istituzionalmente portata avanti.

Un’idea di Bruna Filippi, storica e importante studiosa del teatro gesuitico, che lavora fra l’altro sul rapporto tra Teatro e Mistica ed ha organizzato varie iniziative di studio sul teatro e la figura di Carmelo Bene, fra cui la direzione di un seminario internazionale a Parigi della prestigiosa Ecole des hautes Etudes en Sciences Sociales (EHESS). A queste iniziative partecipano molti giovani interessati all’opera e alla figura di Bene; molti poi, anche altrove, hanno prodotto pregevoli tesi di laurea e di dottorato ma anche altri non studenti possono essere chiamati studiosi: sono musicisti, attori, artisti in genere che si sono innamorati e ispirati all'opera di CB. “Ecco, adesso, trovandoci a Campi e cioè nel luogo di nascita di Bene, ad alcuni di questi è possibile proporre un riconoscimento che equivale ad un “certificato di nascita” quali Nuovi Studiosi Carmelitani: in nessun’altra città questo si potrebbe fare”.

Campi e la sua biblioteca, già intitolata a Carmelo Bene, potrà avvantaggiarsi delle loro opere e intanto conoscerli e riconoscerli. “Battezzarli” certo in modo laico, assegnando loro un diploma sovrimpresso sull’autentico certificato di nascita di Carmelo.

Anche questo “premio” o “riconoscimento” non ha una giuria. La prof.ssa Filippi è stata nel suo lavoro di selezione coadiuvata da tre altri amici esperti (lo stesso Giacchè, Goffredo Fofi e Jean Paul Manganaro, forse il più caro amico e interprete del pensiero e dell’opera di Bene), ma i nuovi “battezzati” entreranno a anche loro a far parte di un circolo di consiglieri e di suggeritori e scopritori di “Nuovi Studiosi Carmeliani”.

lunedì 15 marzo 2010
























Il 16 marzo del 2002 moriva a Roma, Carmelo Pompilio Realino Antonio Bene: CB. Era nato a Campi Salentina il 1 settembre 1937.

In occasione dell’ottavo anniversario della morte il Fondo Verri organizza una serata in suo onore. Ospite, nella saletta di via Santa Maria del Paradiso a Lecce, la sorella Maria Luisa, che ricorderà, con Maurizio Nocera, momenti di vita e di teatro del maestro.

A seguire la performance a cura dell’attore Simone Franco, del poeta Simone Giorgino, del pittore Orodè Deoro, “Grazia de’ fiori” ispirata al poema beniano “‘L mal de’ fiori” edito da Bompiani, pubblicato per la prima volta nel 2000. L'opera valse a Bene - dalla Fondazione Schlesinger, istituita da Eugenio Montale, la cui presidenza onoraria era tenuta allora da Rita Levi Montalcini - il titolo di «poeta dell'impossibile».

“Grazia de’ fiori” è stata presentata in anteprima nazionale nel foyer del teatro Palladium di Roma durante la serata di inaugurazione della mostra di Orodè Deoro “L’impossibile Bene” in corso fino all’11 aprile 2010.


mercoledì 8 aprile 2009

Per il compleanno di Maria Luisa Bene

Auguri Maria Luisa
Maurizio Nocera

Santa Cesarea Terme. Una sera di marzo 2009. Nella casa che affianca la fantastica dimora di “Nostra Signora dei Turchi” siamo in cinque. Non siamo seduti attorno ad un tavolo, ma in un salotto dalle poltrone bianche. I nostri nomi sono: Valentina Sansò (che nella vita fa la grafica); Mauro Marino (che nella vita fa il grafico, ma anche il giornalista e tante altre cose); Piero Rapanà (che nella vita fa l’attore), chi qui scrive (che nella vita insegna in un liceo pedagogico). Poi c’è lei, la Signora, cioè Maria Luisa Bene, sorella dell’impronunciabile, di CB.

Siamo curiosi di sapere com’è stata la sua vita, quella dei suoi genitori, da dove proveniva la sua famiglia. In realtà, attraverso le domande che poniamo alla Signora, vogliamo delle risposte che ci permettano di sapere qualcosa in più di suo fratello, dell’impronunciabile, di CB.


Maria Luisa, candida come una margherita bianca di primavera, ci dice che lei e CB sono nati a Campi Salentina, dove i loro genitori si erano trasferiti per motivi di lavoro. Le intenzioni dei genitori erano quelle di rimanere lì soltanto tre o quattro anni. Il dottor Reale, leccese, concessionario di tabacchi e proprietario del tabacchificio di Campi si era rivolto a Umberto Bene, nativo di Vitigliano, ma all’epoca residente a Lecce, con queste parole:

«Dottor Umberto solo lei può fare il miracolo. Quell’opificio – il più grande che ho – non va bene. Me lo deve rimettere a posto. Solo lei ci può riuscire».

La Signora continua a dirci che il suo papà e la sua mamma abitavano a Lecce, ma non ancora in via Degli Antoglietta, in un altro posto, per cui decisero di accettare questo nuovo lavoro a Campi. In un primo momento la mamma rimase a Lecce, mentre il papà faceva su e giù da Campi. Però il dottor Reale insistette:

«Don Umberto non è bene che donna Amelia rimanga a Lecce. Apre i cassetti, rivede le cose della bambina che ha perduto – si chiamava Maria Teresa – e tutto ciò diviene penoso per lei. La introduca nel mondo del lavoro».

A quel tempo [siamo negli anni ‘30] le donne non lavoravano, per cui mamma Bene accettò volentieri la proposta di portare avanti l’amministrazione dell’opificio. Fu così che Umberto Bene divenne il direttore tecnico mentre la mamma di Maria Luisa e dell’impronunciabile, di CB, quello amministrativo.

Ci dice ancora la Signora: «Io e Carmelo siamo nati lì. Solo successivamente ci siamo trasferiti a Lecce, quando io avevo già quattordici anni e mezzo e Carmelo sedici. Carmelo è stato più fortunato di me perché, oltre alle elementari, ha potuto fare a Campi anche le Medie e le Scuole Superiori presso gli Scolopi. Invece io, dopo la quinta elementare, piccolina piccolina com’ero, con le treccine dovevo prendere il treno e andare a scuola a Lecce. A Campi non c’erano le Scuole Medie femminili. Poi, tutti e due abbiamo fatto a Lecce il Liceo Classico. Carmelo lo ha iniziato a Campi, la seconda e terzo liceo l’ha frequentata invece a Lecce. Quando ci siamo trasferiti in città, in via Degli Antoglietta, io facevo la quarta ginnasio. Abbiamo frequentato in quella scuola che adesso è l’Ateneo [nei pressi di Porta Napoli], vicino dove andavo a giocare a tennis. Erano i primi anni ‘50».

La Signora ci informa che la casa di via Degli Antoglietta fu venduta ad un prezzo accessibile ad Umberto Bene dal dottor Reale. Ricorda che si trattò di un grandissimo affare dettato dalla gratitudine. Era una casa di quasi trecento metri quadrati, con il lastrico solare. Umberto Bene aveva risolto alla famiglia dei Reale i problemi dell’opificio di Campi. Si era in tempo di guerra e a Lecce nessuno poteva avere il grano per fare il pane, la semola, i legumi. Maria Luisa ci dice che a Campi tutto il paese adorava il padre, in particolare perché non aveva voluto aderire al Fascismo, e poi anche perché non aveva voluto prendere alcuna tessera, assecondando i primi scioperi operai. «Era lui che si metteva davanti ai cancelli, addirittura rischiando di farsi sparare! Questo Carmelo lo ha raccontato, papà era fortissimo, benché non fosse molto alto».

Ci dice ancora che una volta si presentarono a Campi due fascisti, lei, Maria Luisa, era attaccata al pantalone di padre, quando venne aperta la porta. «Lo minacciarono di prendere i bambini… le scale avevano un’unica rampa molto ripida. Papà fece semplicemente così… e rotolarono giù per le scale».

I contadini campiensi amavano Umberto Bene perché dava loro le sementi. In tempo di guerra, andava in Bosnia Erzegovina con un carro bestiame, e da lì riportava il tabacco e le sementi. Allora tutti i contadini di Campi coltivavano il tabacco.

La Signora racconta: «La mamma gli diceva: “Fammi una cortesia, non andare all’ufficio di collocamento. Prendi la bicicletta e fai un giro delle case. Vedi chi ha più figli, dove c’è più bisogno”. Allora i miei genitori arrivarono ad avere occupati fino a ottocento operai. E lì si lavorava il miglior tabacco delle Puglie».

Garbatamente chiediamo alla Signora a quanti anni CB lascia la casa di Lecce per andare a Roma.

«A diciassette anni. Appena finito il Liceo classico», è la risposta che ci viene data.

Lei, invece, finito il Liceo, fu mandata in “esilio” a Bologna. Esule perché aveva un ragazzo che Umberto Bene non voleva per la casa. «Così – ci dice la Signora - quando Carmelo debuttò nel ’59 al teatro delle arti, papà e mamma partirono da Lecce, io da Bologna e ci trovammo in albergo a Roma».

Fu in quella occasione che CB le disse: “Ora che ritorni a Bologna fai un corso di recitazione”.

«Ho già iniziato», rispose lei.

Gentilmente le chiediamo di dirci quale fu la prima opera di CB

«Fu il Caligola».

Camus era rimasto molto insoddisfatto dall’interpretazione di Gèrad Philipe, per cui CB e i suoi amici andarono a Parigi a chiedergli i diritti d’autore. Lì non c’era. Si trovava alla Fenice, a Venezia. Così CB lo cercò in albergo, dove andò assieme al regista Alberto Ruggero, che con lui faceva ancora l’Accademia. Camus chiese loro: «Chi dei due sarà Caligola?».

«Io, maestro» rispose Carmelo – aggiungendo – «Abbiamo un grosso problema, non abbiamo molto denaro per i suoi diritti».

«Vi cedo i diritti, in cambio di un posto in platea la sera della prima» fu la sua risposta.

Purtroppo non lo vide mai, perché morì prima.

Chiediamo ancora alla Signora in quali teatri C. B. debuttava.

«Carmelo ha debuttato non nelle cantine. I suoi debutti li ha fatti tutti nei grandi teatri. Dopo aver fatto il “Caligola” al Teatro delle Arti, lo fece poi come attore e come regista anche al Politeama di Genova. Poi ha fatto “Dottor Jekil e Mr. Hide” al Ridotto dell’Eliseo; “Ubu Roi” al Teatro dei Satiri; il “Faust” al Margherita. Poi ha fatto “Manon” al Flaiano, e al Teatro delle Muse “Il rosa e il nero” e “Il Monaco”».

Vorremmo ricordare alla Signora altri particolari dei debutti di CB delle sue sperimentazioni, di altro ancora. Ma subito la sua risposta sovrasta la domanda:

«Per la sperimentazione e la ricerca era un problema trovare gli spazi, per questo aprimmo il primo Teatro Laboratorio in Trastevere, a Piazza San Cosimato. Da lì passammo poi al Beat 72, quindi al Teatro “Carmelo Bene” in piazza Fontanella Borghese. Ma già in Piazza San Cosimato venivano Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Elsa Morante. Carlo Giulio Argan, il quale, nell’occasione del “Majakovskij” di Carmelo portò a teatro tutti i suoi studenti a sentirlo».

Gentilmente, chiediamo a Maria Luisa di sapere come va ora la sua vita.

«Questa notte, ma anche la notte scorsa e l’altra ancora, ho avuto una forte tachicardia. Così, mi sono detta “Maria Luisa quanto ti rimane da vivere?”. Questo mi sono detto, nello stesso momento in cui pensavo alla cosa più importante che ho ancora da fare: portare le ceneri di Papà e di Carmelo da Otranto a Santa Cesarea. Poi dopo posso anche morire. Ho vissuto tante di quelle vite che lo stress prima o poi era giusto che arrivasse. Quando qualcuno mi parla di depressione, a me quelle parole mi sembrano essere quasi uno schiaffo alla Provvidenza. Perché nessuna più di me avrebbe avuto diritto alla depressione. Io non ho avuto il tempo di deprimermi. Mai. Ho sempre corso come una figlia di quaglia. Ho fatto la vita in corsa. Per questo ora non vedo l’ora di fermarmi».

Chiediamo alla Signora perché mai lei non ha sfruttato l’occasione per fare teatro.

Ci risponde così: «Quando eravamo giovani io e Carmelo avevamo la voce identica. Ripeto: identica. Io ho fatto dizione a Bologna con Ernestina Zaggia, la moglie di Memo Benassi, sua compagna di scena. Lei mi voleva in radio, dove conduceva una trasmissione pomeridiana la domenica. Io invece tornai a Lecce per convincere i miei. Volevo raggiungere Carmelo a Roma. Però non dovevo convincerli con la parola bisognava inventare qualcosa. Questo qualcosa è possibile rintracciarlo in un passo del libro di Carmelo “Sono apparso alla Madonna”. Si tratta di un lapsus di mio fratello, ed è questo; quando sono nata io, Carmelo desiderava che mi gettassero giù dal terrazzo. Carmelo odiava le bambine, perché le trovava leziose. Poi però mi accettò, anzi ne fu felice, tanto che, quando mi regalarono la prima bambola – in tempo di guerra erano bambole fatte di stoffa, neanche quella tanto buona, riempite di paglia – la feci a pezzettini piccoli piccoli piccoli. La distrussi. Questo lo rese felice, perché disse: “Ecco, allora ce l’ho il compagno di giochi”. E furono pistole, insieme, il teatrino! Io sulla sediolina, fui il suo primo critico».

E qual era la vita a Lecce, in via Degli Antoglietta?

«Lì facevamo scherma. Fioretto – ci sentiamo rispondere – Quando Carmelo terminò il Liceo, prese lezioni dal Maestro Barbara, perché voleva diventare tenore. Però poiché avevamo cominciato tutti e due a fumare gli si ‘spezzo’ la voce. Pensate che la mia prima sigaretta - Carmelo già fumava - me la offrì papà che avevo sedici anni, durante la festa di matricola di Carmelo. Era una Serraglio! Lo ricordo perché era piatta. Ricordo pure che quando studiavamo, quando mamma si alzava per portarci il caffè alle cinque o le sei, nella stanza di Carmelo l’aria si tagliava con il coltello. Mamma diceva “Voi due questa notte…”.

sabato 14 marzo 2009

E' da tempo che ci manca...

16 marzo 2009 – anniversario che non si ricorda più della scomparsa dell’irrapresentabile.


da “SONO APPARSO ALLA MADONNA / VIE D’(H)EROS(ES) / autobiografia” di C. B. letta in filigrana e a saltelli da Maurizio Nocera che si vergogna pure di scriverlo che prima del primo atto aveva già voltato pagina al 1983 con la nostalgia del cominciamento sprofondante nelle viscere della terra d’Otranto che come dire è l’inizio di settembre in cui Lui nacque da un religiosissimo bordello confuso nelle tessere di un albero della vita nella pietra dentro i piedi di nostra santa madre basilica cattedrale che non era sulla mancanza lontananza di un’Otranto ubriaca ma culla di storie estroflesse immaginarie da inventare per una sua autobiografia rischiosissima scontata per un non pensiero spensierato tra i nomi di Giordano Bruno Giambattista Vico Tommaso Campanella in un’Otranto che è Magna Grecia come nord del sud del mondo di un sud del sud che comincia a Vitigliano come dire nel ventre di Santa Cesarea sulfurea che eccede per il santo dei santi di qui quel Giuseppe Desa da Copertino che vola con la testa dipinta di verde bevuto di nascosto perché la mamma non sa come prenderlo e lui diviene frate beato Asino che raglia a bocca aperta per fare contenta nostra signora di qui che non è turca stanca ma turca distesa «su un asse di appena cinquanta chilometri distante Otranto, in Campi Salentina, pianura sconfinata agricola di grano, vino, ulivi, e tabacco, soprattutto tabacco, un Atlas di tabacco, [dove] ha luogo la [sua] nascita di Sardanapalo» abbandonato fuggitivo alla capitale con l’Ulissse joyciano che legge Finnegans Wake per dirla con l’uomo dall’occhio sbilenco e dalle gambe coreutiche come di una taranta morta d’invidia per quel primo Amleto al Teatro Laboratorio seguito dal Pinocchio innamorato di una Salomè che non ne vuole proprio sapere di essere un po’ in disciplina indisciplinata come suo padre che vive dei soldi di quel Credito Italiano in cui lui non esisteva affatto perché diceva «se il mondo fosse la visione che ne abbiamo e non quella che il mondo ha di noi, saremmo forse più riservati» almeno fino a quando non s’accorgeva del «pubblico, ché una lampa vigliacca, in controluce, denunciava implacabile questa ed altre consimili magagne di quell’eroe involontario» dell’eterno addio che era prima di essere addio una non storia un non evento un non sonno un non sapere dove andare perché uno come Lui non aveva «mai leccato un sentimento. Mai penetrata un’anima» in quanto il principio è solo sonno azione illusoria di paternità dolente con le mani bianche affilate come coltelli che esce dal proscenio e si protende verso l’eternità punto.

mercoledì 14 gennaio 2009

Su carmelo e Maria Luisa Bene - Di solo amore

Mauro Marino


“Non si uccide con un revolver, con un'arma da punta o da taglio. Si uccide anche per carenza di cure”. Non possiamo sapere sino a che punto siano vere e realistiche le ipotesi di Maria Luisa Bene sulle circostanze della morte di suo fratello Carmelo, ma qualcosa ci dice che in esse ci sia l'estremo tentativo da parte di questa donna eccezionale di riportare l'attenzione sulla figura e l'“eredita” intellettuale ed artistica di suo fratello.
Maria Luisa Bene è persona dolcissima. L'età la fa delicata e la memoria che la abita preme la voce, che, inquieta, sempre mostra le tante cose di un'avventura in lei ancora densa di emozioni.
Per lungo tempo sodale e complice delle scelte artistiche del fratello. Sin dall'infanzia! Racconta di un 'mitico' viaggio a Bari, in carrozza, per andare a vedere il “Lohengrin” di Wagner al Teatro Margherita, del fondale del teatro che sia apre per lasciar vedere il mare e il cigno-barca che si allontana con il protagonista della messa in scena!
A questo erano allevati i due fratelli Bene! A queste visioni!
La memoria che la abita è uno spaccato importante della vita di Carmelo Bene e del suo teatro. Poco s'è fatto e poco si continua a fare per accudire questa memoria!
La foga “istituzionale” al domani della morte del Maestro ha prodotto dei grandi giri a vuoto.
I 'comprimari' dell'ultima stagione di vita di CB hanno sostituito gli affetti, quelli veri.
Quello autentico di Maria Luisa, che è stata messa nell'angolo, dimenticata, esclusa da chi si affannava a legittimare la propria posizione di privilegio nel dover testimoniare la grandezza di ciò che non c'era più.
Quella “mancanza” è rimasta tale solo nel cuore di Maria Luisa. Pochi le sono stati vicino, attenti ad ascoltare. Luigi Santoro, Maurizio Nocera, Antonio De Carlo tra i pochi che in questi anni hanno mantenuto con lei teso il filo del ricordo.
Il resto distratto, all'inseguimento di chissà quale convenienza.
La foga dell'apparire ha rivelato tutta la sua approssimazione: l'idea che la “politica” poteva far da spalla forte e legittimante alla costruzione della Fondazione è naufragata da subito, per vigliaccheria e per incompetenza.

La vigliaccheria della politica che nonostante le promesse fatte non è stata in grado o non ha voluto mantenerle. Per cui una Fondazione che aveva come partner di fatto il Comune di Otranto, la Provincia di Lecce e la Regione Puglia s'è trovata da subito a dover fare i conti con l'assenza di chi per 'gelosia' politica non stava più nel gioco. C'era Raffaele Fitto, affianco al Maestro, vestito di bianco in una delle sue ultime performance otrantine, poi non c'è più stato! Era a disagio in compagnia di tutto quel miele intellettuale? Non gli piaceva il Teatro? Pensava bisognasse fare altro per ricordare, tutelare, valorizzare, mantenere quel grande patrimonio?

Man mano non c'è stato più nessuno!

Travolti dall'incompetenza e dall'approssimazione di chi aveva dato avvio al percorso di creazione della Fondazione senza tener conto dell'esistenza di una moglie e di una figlia, legittime ed uniche eredi di quanto a Carmelo Bene è appartenuto, di quanto Carmelo Bene ha creato.

Ritorna come un presagio la visione del cigno che si allontana sul mare di Bari!

Wagner scrisse di vedere in Lohengrin il prototipo dell’artista moderno – un’ombra di se stesso – gravato da un destino di solitudine e di incomprensione da parte del mondo circostante. Così è stato per Carmelo Bene! Non ci rimane altro che interpretare le parole di Maria Luisa Bene: “Non si uccide con un revolver, con un'arma da punta o da taglio. Si uccide anche per carenza di cure”, di affetto, di accudimento, di dedizione aggiungiamo noi!

Si uccide una volta e si continua ad uccidere, a cancellare, a confondere la memoria con la menzogna, si continua a tradire ciò che solo ha avuto e ancora ha, necessità d'amore!